La firma dell’alleanza Letta-Calenda di ieri produce subito uno smottamento. Da tempo il Pd ha un dialogo anche con Sinistra Italiana e i Verdi ma ora questi chiedono “di verificare se ci siano ancora le condizioni per un’intesa elettorale”. Per Nicola Fratoianni (Si), “l’accordo tra Pd e Azione/+Europa è legittimo ma non vincolante sul tema programmatico”. Non piace il richiamo al governo Draghi, che vedeva Si e Verdi all’opposizione e diversi passaggi, come quello sul via libera ai rigassificatori. “Se c’è l’Agenda Draghi io non ci sono” aveva detto Fratoianni in un’intervista a ‘La Stampa’. E un chiarimento tra i tre ci sarebbe dovuto essere a breve. Invece, Angelo Bonelli e Fratoianni rinviano l’incontro con Letta fissato nel pomeriggio, al Nazareno.
Il Pd e Azione con Più Europa raggiungono l’accordo – Dopo giorni di tira e molla, veti e ultimatum, Enrico Letta, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova hanno firmato il patto, al termine di una riunione alla Camera durata due ore. Un’intesa “elettorale per essere vincenti nei confronti della destra”, ha detto Letta. “Oggi si riapre la partita”, ha ribadito Calenda. Sondaggi alla mano, il centrosinistra sa che il centrodestra parte di gran lunga favorito. Per questo, Letta ha sempre cercato di costruire un’alleanza la più larga possible. Dopo l’addio al M5s, reo di non aver votato la fiducia a Draghi, il compagno di viaggio più corteggiato è stato Calenda che, però stava coltivando la tentazione di correre da solo, al centro, in una lista con Più Europa. Il senso dell’alleanza è stato riassunto da Letta: “Non è immaginabile che, dopo Draghi, il Paese passi al governo delle destre e sia guidato da Giorgia Meloni”. E Calenda: “L’accordo elettorale riapre la partita. Tutti i punti che avevamo chiesto a Letta sono stati recepiti. I voti di Azione non andranno a chi ha sfiduciato Draghi”.
Aperto il dialogo con Verdi e Sinistra Italiana. Renzi? Lo lasceremo solo alle sue iniziative…
Il diritto di Tribuna – L’intesa Letta-Calenda prevede che nessun segretario di partito e nessun ex di FI e M5s possa essere candidato nei collegi uninominali, il Pd offre dunque un posto nei listini proporzionali della sua lista Democratici e progressisti “ai leader di partiti e movimenti che entreranno a far parte dell’alleanza”: il cosiddetto diritto di tribuna. L’opportunità può tentare chi guida forze che rischiano di non il 3% e quindi di non avere eletti. In Transatlantico, si pensa subito a Bruno Tabacci e Luigi Di Maio, fondatori di Impegno civico. E infatti, ieri il ministro degli Esteri ha incontrato Letta, seminando scompiglio nei parlamentari fedelissimi: “Se accetta il diritto di tribuna ci abbandona e Impegno civico salta” era il timore. Di Maio convoca i suoi e si apre il confronto.
Renzi resta solo e attacca – Malgrado Letta e Calenda ufficialmente dichiarino che non ci sono veti, il leader di Iv sembra ormai intenzionato a correre da solo, al centro. ‘L’alleanza fra Pd, Azione e +Europa ha poco a che fare con la politica del ‘si sta insieme se si condividono le idee'”, commenta Matteo Renzi che, in un’intervista a ‘Qn’, confessa di aver avuto con Letta solo una telefonata di “due minuti e quaranta secondi”, nella quale il segretario Dem gli avrebbe detto che “non voleva Italia Viva nella coalizione perché pensava e pensa che gli facciamo perdere più voti di quanti ne guadagni. Questo è il massimo del dialogo che Enrico ha interpretato” dichiara. E sull’ipotesi del ‘diritto di tribuna’ per Di Maio, sbotta: ‘Letta ha proposto il diritto di tribuna. Che significa? Un posto garantito come capolista del PD a tutti i leader dei partiti in coalizione. Così entrano in Parlamento. Pare che al momento abbia accettato di prendere questo posto e correre con il simbolo del PD, Luigi Di Maio. Amici miei, ma la dignità dov’è?”.
La riunione e la soluzione per sciogliere il nodo candidature – L’intesa fra Calenda, Della Vedova e Letta si chiude dopo due ore di colloquio. L’incontro rischia anche di partire col piede sbagliato, quando, prima dell’inizio dei lavori arriva al Pd una bozza di accordo già scritta dal leader di Azione: un salto in avanti ritenuto inopportuno dai dem. Poi, però, si apre il dialogo che porta all’intesa. Fra i punti dell’accordo, la divisione dei seggi uninominali: 70% al Pd e 30% ad Azione +Europa. Ma, soprattutto, si trova il modo di bypassare l’ostacolo delle “candidature scomode”. Fra la richiesta di Calenda di non candidare negli uninominali Fratoianni, Di Maio e Bonelli e l’intenzione del Pd di non mettere veti sui nomi, si trova la soluzione di far fare un passo indietro a tutti i big. “Abbiamo dimostrato tutti grande senso di responsabilità – ha detto Letta – l’Italia vale di più rispetto alle discussioni interne”.
I commenti – “L’alleanza Pd-Azione fa chiarezza sulle forze in campo alle prossime elezioni. A misurarsi con il centrodestra e FdI ci sarà la solita sinistra. Il Pd, la sinistra estrema e Azione, la costola del Pd presieduta dall’europarlamentare eletto nel Pd, Carlo Calenda. Finisce la storiella di Azione partito moderato, alternativo alla sinistra tutta tasse, assistenzialismo e nemica del ceto produttivo”, dichiara il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. “Azione getta la maschera. È la quinta colonna del Partito democratico e della sinistra. Altro che progetto per creare un nuovo centro, altro che governo Draghi, semplicemente al servizio di chi vuole la patrimoniale per qualche posto in più”, scrive su Twitter Antonio Tajani, Coordinatore nazionale di Forza Italia. L’accordo di ieri tra Pd e Calenda “è un’allegra brigata che mette insieme Di Maio, Fratoianni, Calenda, Gelmini, Letta, Speranza: quindi coerenza zero, concretezza zero. Ho visto che l’unico punto su cui sono d’accordo è la spartizione dei collegi elettorali”, ribadisce il leader della Lega, Matteo Salvini. “In bocca al lupo alla grande ammucchiata” è la battuta ironica del leader del M5S Giuseppe Conte.
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