“Una conca vuota che impressiona per la sua ampiezza e il suo fitto mistero”, sorride il direttore del Parco archeologico di Selinunte, Felice Crescente. Uno spazio “che dà l’idea della magnificenza di questa città e della sua straordinaria essenza”, commenta accanto a lui l’assessore alla cultura Alberto Samonà. Dopo due anni rallentati dalla pandemia, in giugno si è ripreso a scavare a pieno ritmo e i risultati, sottolinea Marconi, “sono andati molto oltre le aspettative”. L’idea di partenza era quella di riuscire a datare l’epoca di costruzione di due dei templi più recenti dell’acropoli, denominati A e O, a lungo ritenuti gemelli. Lo scavo ha dimostrato che A è stato costruito prima di O e che la costruzione di quest’ultimo è stata probabilmente interrotta per uno smottamento del terreno. La scoperta più importante però, è stata quella di una faglia d’acqua sotto le fondazioni del tempio A, un particolare, indica il professore, “che conferma l’ipotesi che i primi coloni greci si siano insediati proprio in questa porzione meridionale dell’Acropoli”. E’ qui, insomma, che nasce l’antica Selinus.
Non solo. Perché scavando in profondità intorno ad un terzo tempio, il cosiddetto R, costruito nel VI sec. a C. e poi forse riedificato dopo il 409 a.C. quando i Cartaginesi occuparono e distrussero la città, gli archeologi hanno identificato le mura di un recinto rituale risalente al 610 a C., non molto tempo dopo quindi l’arrivo dei coloni guidati da Pammilo, che Tucidide fissa al 628 a.C. e Diodoro al 650 a. C. Ed è sempre qui, dentro il tempio R, che la terra ha restituito la parte mancante di una matrice in pietra (la prima era stata trovata dieci anni fa a breve distanza) servita per la fusione di un oggetto in bronzo, sembra uno scettro. Un oggetto così prezioso, ipotizzano oggi gli archeologi, da non dover essere replicato. Per questo subito dopo la fusione le matrici sarebbero state seppellite in due luoghi diversi.
Da quello stesso edificio, rivela Marconi, arrivano poi due oggetti, che nei prossimi giorni verranno esposti nell’antiquarium del Parco: un amuleto in forma di falco, immagine del dio del cielo Horo realizzata in blu egizio, che arriva dall’Egitto della fine del VII sec. a C, e una statuina in miniatura raffinatissima di una sirena in avorio, ritrovata in frammenti nel 2017 e ricostruita in questi mesi in laboratorio. Una piccola meraviglia, sottolinea Marconi, quasi certamente importata dalla Grecia, che “racconta la ricchezza raggiunta dalla città nel VI secolo a.C”. Due secoli più tardi la fine per Selinunte sarà terribile, con la città messa a ferro e fuoco dai soldati di Annibale. Sepolta per secoli, la grandeur di quel secolo d’oro torna oggi a stupire.
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