(ANSA) – ROMA, 23 LUG – Non riconoscersi nel proprio corpo di
umano ma in quello di un animale: una rara forma di disforia di
specie, vissuta con diversi gradi di intensità (da chi riproduce
solo qualche connotazione del comportamento dell’animale scelto
a chi vorrebbe assumerne lo stile di vita) che la regista
italiana di casa in Gran Bretagna Nathalie Biancheri ha usato
come fonte di ispirazione per la sua opera seconda, Wolf,
dramma/thriller con toni distopici sulla ricerca e la difesa
dell’identità anche di fronte a una repressione violenta. Ne
sono protagonisti Lily-Rose Depp (figlia di Johnny Depp e
Vanessa Paradis) e George MacKay (1917) in un cast che comprende
Paddy Considine, Eileen Walsh, Fionn O’Shea e Lola Petticrew. Il
film, che ha debuttato nel 2021 al Toronto Film Festival, è già
uscito negli Usa con Focus Features e arriverà dal 3 agosto su
Prime Video.
“Ho letto sul tema un articolo nel quale una donna raccontava
il suo identificarsi in un gatto. Mi ha subito appassionato -
spiega all’ANSA Nathalie Biancheri -. Non volevo però girare un
documentario e restare troppo vicino alla realtà, ma usarla come
punto di partenza per esplorare il tema dell’identità”. Così, in
un mondo in cui questa disforia di specie è molto più diffusa di
quanto sia realmente, conosciamo Jacob (MacKay), che dopo
l’ennesimo ‘incidente’ causato dal suo sentirsi un lupo, viene
mandato in un’elegante clinica specializzata nel curare i
ragazzi attraverso una brutale e spietata conversion therapy. La
applica il direttore dell’istituto, il dott. Mann, chiamato
anche ‘guardiano dello zoo’ (Paddy Considine) sui giovani
pazienti convinti di essere animali, da Rufus che si identifica
in un pastore tedesco a Judith che si comporta come un
pappagallo. Qui Jacob, che vive la sua condizione come una
condanna, conosce Celine (Depp, ndr) che si identifica in un
gatto selvatico.
Uno dei temi principali della storia “è la difesa
dell’identità anche di fronte a chi usi forme di repressione per
negarla – aggiunge la regista -. Parlo però anche del bisogno di
senso di appartenenza, in un mondo che ci dà sempre più
possibilità di definirci, ma nel quale i giovani spesso sono
sempre più soli”. (ANSA).
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