Laura Morante e la figlia Eugenia Costantini: madre e figlia a confronto su recitazione, talento e carriera, lunga storia professionale la prima, in grande ascesa la seconda. Legate dal doppio filo del legame familiare e dell’arte. “Sono stata ballerina professionista di danza contemporanea e non pensavo assolutamente al set” racconta la Morante a Giffoni, il festival dei ragazzi che si è chiuso ieri con numeri da record. “Un giorno la coreografa mi mandò a uno spettacolo di Carmelo Bene per invitarlo a un suo evento. Lui accettò, nacque un rapporto di amicizia e alla fine mi chiese di lavorare part-time in teatro. Da allora ho continuato a recitare con maggiore frequenza fino a lasciare la danza. Il mio passaggio alla recitazione è avvenuto per ‘dissolvenza incrociata’. Non era una passione, lo è diventata”.
“Non saprei dire quando ho cominciato a recitare” ribatte la Costantini. “Sono sempre stata sul set fin da bambina insieme a mia madre. Ricordo però bene la prima volta che mi sono sentita attrice. Avevo appena recitato in 18anni dopo, opera prima di Edoardo Leo. Fui premiata con una borsa di studio che mi consentì di andare a studiare recitazione a New York. In quel momento ho preso piena consapevolezza di me e di questo lavoro”.
Insieme si sono ritrovate sul set di A casa tutti bene di Gabriele Muccino, di cui si realizza la seconda stagione.
Eugenia è anche nell’atteso Boris 4 di Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo e nel film Santa Guerra di Samantha Casella. Laura Morante è nel Colibrì di Francesca Archibugi in prima mondiale a Toronto ed è tra l’altro tra le new entry dalla seconda stagione di Christian, la serie Sky Atlantic con Edoardo Pesce e Claudio Santamaria.
Laura Morante, 65 anni, dopo il debutto teatrale con Carmelo Bene, una luminosa carriera cinematografica che l’ha portata a lavorare con Bertolucci, Monicelli, Virzì, Nanni Moretti, Carlo Verone, Muccino, Salvatores. “Il cinema è molto cambiato” osserva la Morante. “Oggi ci sono molti più condizionamenti esterni, legati alla popolarità sui social e agli sponsor, e c’è grande competitività. Io non lo sono mai stata eppure questo non ha frenato la mia carriera. I registi, quando ho cominciato, sceglievano il cast con altre logiche. E il cinema d’autore aveva un ruolo decisivo. Detto questo, fare l’attrice resta per me un meraviglioso gioco che vivo con serietà e leggerezza”. Sua figlia, 37 anni, ha un vissuto artistico differente: “Ho sperimentato la competitività, soprattutto in teatro, e ne sono rimasta traumatizzata. Sulla mia pelle ho imparato che bisogna esserlo. Questo non vuol dire essere spietati con gli altri.
Significa determinazione, credere in ciò che fai”. Entrambe concordano sulla preminenza, nel cinema contemporaneo, delle tematiche sull’aspetto più autenticamente artistico. Per la Morante “la vera malattia che ha infettato questo mondo è l’eccesso di messaggi. Tutti si concentrano orami su questo. Se uno vuole inviarne uno fa un proclama. L’arte non può subire il ricatto del messaggio”. Per la Costantini “il valore di un film non è espresso dal tema di cui tratta. Certo, ci sono grandi registi capaci di veicolare sentimenti che possono smuovere le coscienze. Qualcuno, però, ha confuso questa cosa coi messaggi”.
Tutte e due sono d’accordo sul fatto che “il cinema è arte” e rilanciano con forza l’importanza di viverlo in sala: “Qualsiasi forma d’arte è dialogo, mai monologo. La visione di un film a casa è differente. Sei distratto e l’esperienza immersiva viene meno”
“Non saprei dire quando ho cominciato a recitare” ribatte la Costantini. “Sono sempre stata sul set fin da bambina insieme a mia madre. Ricordo però bene la prima volta che mi sono sentita attrice. Avevo appena recitato in 18anni dopo, opera prima di Edoardo Leo. Fui premiata con una borsa di studio che mi consentì di andare a studiare recitazione a New York. In quel momento ho preso piena consapevolezza di me e di questo lavoro”.
Insieme si sono ritrovate sul set di A casa tutti bene di Gabriele Muccino, di cui si realizza la seconda stagione.
Eugenia è anche nell’atteso Boris 4 di Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo e nel film Santa Guerra di Samantha Casella. Laura Morante è nel Colibrì di Francesca Archibugi in prima mondiale a Toronto ed è tra l’altro tra le new entry dalla seconda stagione di Christian, la serie Sky Atlantic con Edoardo Pesce e Claudio Santamaria.
Laura Morante, 65 anni, dopo il debutto teatrale con Carmelo Bene, una luminosa carriera cinematografica che l’ha portata a lavorare con Bertolucci, Monicelli, Virzì, Nanni Moretti, Carlo Verone, Muccino, Salvatores. “Il cinema è molto cambiato” osserva la Morante. “Oggi ci sono molti più condizionamenti esterni, legati alla popolarità sui social e agli sponsor, e c’è grande competitività. Io non lo sono mai stata eppure questo non ha frenato la mia carriera. I registi, quando ho cominciato, sceglievano il cast con altre logiche. E il cinema d’autore aveva un ruolo decisivo. Detto questo, fare l’attrice resta per me un meraviglioso gioco che vivo con serietà e leggerezza”. Sua figlia, 37 anni, ha un vissuto artistico differente: “Ho sperimentato la competitività, soprattutto in teatro, e ne sono rimasta traumatizzata. Sulla mia pelle ho imparato che bisogna esserlo. Questo non vuol dire essere spietati con gli altri.
Significa determinazione, credere in ciò che fai”. Entrambe concordano sulla preminenza, nel cinema contemporaneo, delle tematiche sull’aspetto più autenticamente artistico. Per la Morante “la vera malattia che ha infettato questo mondo è l’eccesso di messaggi. Tutti si concentrano orami su questo. Se uno vuole inviarne uno fa un proclama. L’arte non può subire il ricatto del messaggio”. Per la Costantini “il valore di un film non è espresso dal tema di cui tratta. Certo, ci sono grandi registi capaci di veicolare sentimenti che possono smuovere le coscienze. Qualcuno, però, ha confuso questa cosa coi messaggi”.
Tutte e due sono d’accordo sul fatto che “il cinema è arte” e rilanciano con forza l’importanza di viverlo in sala: “Qualsiasi forma d’arte è dialogo, mai monologo. La visione di un film a casa è differente. Sei distratto e l’esperienza immersiva viene meno”
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