Le comunicazioni del premier prima al Senato, poi alla Camera (ANSA)
“Dopo la crisi di governo causata dai 5 Stelle – apre le danze Matteo Salvini sui social – dopo giorni di minacce e provocazioni, con decine di parlamentari che cambiano partito per salvare la poltrona e con un Pd che insiste a parlare di ius soli, ddl Zan e legge elettorale, invece di mettere al centro stipendi, bollette e lavoro, oggi si decide. E la Lega, unita e compatta, deciderà solo e soltanto per il bene e il futuro dell’Italia”.
LA DIRETTA
I partiti, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, aspettano un segnale dal discorso che farà Mario Draghi in Parlamento. E a quel punto Il premier ascolterà le posizioni di tutti per vedere se sia maturato quel “fatto politico” nuovo che consenta di ritrovare “l’agibilità politica” senza la quale si rischia di segnare la fine del governo di unità nazionale.
La situazione è talmente incerta che, si ragiona in ambienti parlamentari, il presidente del Consiglio starebbe preparando due versioni del discorso. Entrambe decise e circostanziate ma con due finali diversi. Dunque, non è neanche il quinto giorno quello risolutivo. Eppure, si osserva nei capannelli in Parlamento, qualcosa si è mosso. Sottotraccia restano i timori, di tutti, di rimanere con il “cerino in mano” e vedersi addossare la responsabilità di avere messo la parola fine alle larghissime intese.
Il premier ha lavorato al discorso fino all’ultimo. E avrebbe preparato “un testo A e un testo B”, uno per dire resto e uno per dire addio, commentano alcuni senatori. Una ipotesi che non trova conferme a Palazzo Chigi. Ma di sicuro Draghi spiegherà le ragioni che lo hanno portato a un passo dall’addio e rivendicherà il tanto lavoro fatto in 17 mesi per far fronte alla pandemia, e poi alla guerra e alle sue conseguenze economiche. E tornerà a indicare le priorità per il Paese. Starà alle forze politiche, è l’orientamento emerso finora, dare risposte e dare garanzie sulla reale volontà di continuare a sostenere, con unità e responsabilità, l’esecutivo. Altrimenti l’esito non potrà che essere quello delle dimissioni. A fronte delle quali il Quirinale non potrebbe che prendere atto che non ci sono più le condizioni per sciogliere le Camere e andare a elezioni anticipate in autunno (la data cerchiata in rosso sarebbe quella del 2 ottobre), secondo alcuni senza neanche fare ulteriori consultazioni.
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