Le norme chiare per migliorare la regolamentazione delle finestre temporali, le cosiddette windows tra passaggio in sala e il successivo in streaming, inclusa l’auspicata equiparazione tra film italiani e di film stranieri, su cui si attendeva un’azione di governo rischiano a questo punto di restare nella lista delle cose inevase dopo la caduta dell’esecutivo Draghi. E’ piuttosto difficile che nell’ordinaria amministrazione si mettano regole come quelle richieste dal settore cinematografico nonostante le speranze accese dallo storico accordo bipartisan, votato da Fratelli d’Italia al Pd, del 13 luglio scorso con la mozione passata all’unanimità sulle misure per aiutare le sale cinematografiche ad uscire dalla crisi. Tutti d’accordo nel fissare in un minimo di 90 giorni la finestra e l’equiparazione tra film italiani e stranieri a prescindere se abbiano avuto finanziamenti statali oltre che confermare gli aiuti in tax credit alla distribuzione. La mozione era appunto una raccomandazione di indirizzo che sarebbe poi dovuta diventare atto legislativo o decreto. L’implosione del governo ha bloccato tutto. Cosa accadrà ora? Se ne è parlato a Borgo Brufa (PG), nell’ambito dell’Umbria Cinema Festival, al primo incontro del Film Business Think Tank, voluto da Alberto Pasquale dell’Umbria Film Commission, che si ripromette di diventare momento di confronto annuale sul business audiovisivo e che avrà il suo secondo appuntamento nei primi mesi del 2023, sempre in Umbria. L’attuale situazione è a dir poco contraddittoria. “C’è una massima occupazione sui set, con figure professionali su cui ci si accapiglia, c’è un eccesso di domanda produttiva. Sarà una bolla?”, ha detto Nicola Giuliano, produttore di Indigo Film. E al tempo stesso c’è un’eccessiva produzione di cinema che non ha mercato e che non ha esito in sala. Senza contare il baratro degli incassi, meno 60% che diventa meno 70% sul cinema italiano (con nessun film nella top 15 di stagione e solo 7 che hanno superato 1 milione). “Mentre per la serialità, che a mio parere è cinema al quadrato, la selezione dei progetti a monte e poi in corso di realizzazione è severissima, sul cinema sono saltati i meccanismi di selezione” ha osservato Riccardo Tozzi fondatore di Cattleya. “Lo spettatore di cinema non a caso è pienamente soddisfatto della serialità che vede in streaming proprio per la qualità del prodotto”, ha aggiunto. Il tema delle finestre, secondo il parere dei produttori, non è affatto risolutivo della crisi in cui versano le sale, mentre è il rapporto con il pubblico da ricostruire con un cinema che li attragga e che sia evento, così interessante da essere visto in sala e anche in piattaforma, considerando che la cosiddetta ‘centralità della sala’ è un concetto piuttosto romantico ormai. “E’ anche colpa nostra – ha detto Marco Belardi di Lotus – se non riusciamo ad intercettare il pubblico e a favorire nuovi veri talenti”. Per quanto in tempi diversi, l’esordio di Paolo Sorrentino con L’uomo in più incassò appena 90mila euro, ha ricordato il suo produttore Giuliano, ma questo non ha impedito la nascita di un talento come quello. Questo per dire che “la sala, centrale o no, serve eccome per l’industria (perché è un parametro di riferimento) e come valore immateriale per gli autori e i produttori, il passaggio al cinema dà loro un peso specifico, penso ad un talento come Pierfrancesco Favino e alla sua crescita con il cinema al di là degli incassi. La sala per questo – ha detto Giampaolo Letta di Medusa – non va marginalizzata e le regole certe sulle windows servono”. Ma c’è chi come Tozzi e Benedetto Habib di Indiana pensano che la contrattazione film per film caso per caso siano la cosa più giusta. Circa 240 film per le sale, e il 40% di contributo statale sotto forma di incentivo fiscale è uno dei possibili motivi di tanta produzione in un sistema di mero automatismo che non funziona più. C’è un sistema a maglie larghe che avrebbe bisogno, ha sottolineato Letta, di un “reference system”. La produzione deve essere più autorevole, sulla serialità “c’è all’orizzonte un rischio omologazione, con richiesta di prodotti da tv generalista”, ha detto Nicola Giuliano. “Rafforzare l’unione dei produttori dando voce forte ai produttori indipendenti”, ha concluso Benedetto Habib di Indiana, presidente della sezione produttori dell’Anica, “è il terreno su cui si sta lavorando”, anche per ricucire lo strappo (secondo quanto si apprende rientrato) con le quattro società – Cattleya, Groelandia, Picomedia e Wildside – intenzionate ad uscire dall’Anica.
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