Birmania, i giustiziati “meritavano la morte” – Cronaca – صحيفة الصوت

I quattro prigionieri giustiziati dalla giunta del Myanmar nei primi casi di pena capitale nel Paese da decenni “avrebbero meritato molte condanne a morte”. Lo ha dichiarato Zaw Min Tun, portavoce della giunta militare durante un briefing con i media, aggiungendo che  “se confrontiamo la loro sentenza con altri casi di pena capitale, hanno commesso crimini per i quali avrebbero dovuto essere condannati a morte molte volte”.

L’esecuzione dei quattro oppositori al regime, tra cui un ex membro del partito di Aung San Suu Kyi, è “altamente riprovevole”, ha affermato da parte sua la presidenza cambogiana di turno dell’Asean, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. In una nota si afferma che l’organismo è stato “estremamente turbato e profondamente rattristato” dalle esecuzioni, le prime in Myanmar da decenni e si accusa la giunta di una “grave mancanza di volontà” nell’impegnarsi negli sforzi dell’Asean per facilitare il dialogo tra i militari e i suoi oppositori.

 Nella dichiarazione si sottolinea inoltre come le esecuzioni siano avvenute “nonostante l’appello personale” del primo ministro cambogiano Hun Sen a sospendere il procedimento.  L’Asean, che comprende 10 nazioni tra cui il Myanmar, ha guidato gli sforzi diplomatici per porre fine al caos scatenato dal golpe dello scorso anno. Nell’aprile 2021 ha raggiunto un “consenso in cinque punti” con la giunta, chiedendo la cessazione della violenza e un “dialogo costruttivo”. Ma la violenza è continuata, con gruppi anti-giunta che si scontrano regolarmente con i militari, accusati di aver dato alle fiamme alcuni villaggi.

Secondo i media statali cambogiani, il ministro degli Esteri del Myanmar non è stato invitato alla ministeriale dell’organismo convocata per la prossima settimana.  Il Myanmar resta isolato sulla scena internazionale, e il premier cambogiano Hun Sen l’unico à stato l’unico capo di Stato straniero a recarvisi dopo il golpe. Dal allora, più di 2.100 persone sono state uccise in una sanguinosa repressione militare, secondo una organizzazione locale per i diritti umani.

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